Dal Regno d’Italia alla Prima Guerra Mondiale

Il Regno d’Italia e la difficoltà nel completare la Villa 

La costruzione della villa fu completata negli anni immediatamente successivi alla visita del papa, ma l’entrata del territorio ferrarese nel Regno d’Italia ebbe delle ripercussioni sulle vicende dell’edificio: infatti, come molte altre proprietà immobili ecclesiastiche, la villeggiatura estiva fu in procinto di essere incamerata tra i beni appartenenti al demanio statale, in seguito all’Unità del Paese. Qualche tempo dopo il rettore Bottoni, preoccupato, espresse la volontà di riacquisire la proprietà dell’edificio. 

Così egli scriveva all’arcivescovo il 13 dicembre del 1867: 
Non avendosi potuto ottenere che la grandiosa Fabbrica eretta da pochi anni con immensi sacrifizi ad uso di Villeggiatura di questo Ven. Seminario Arcivescovile di Ferrara, sia preservata dalla devoluzione al Demanio e dalla conversione; ed essendone imminente la vendita all’asta pubblica assieme col sottoposto Predio di tavole censuarie 300 circa, l’umile sottoscritto Rettore del Seminario stesso si rivolge all’Eminenza Vostra Reverendissima e cerca, se gli sia lecito fare seguito della medesima Fabbrica coll’adjacente indicato Predio troppo necessario all’uso, cui deve servire la Fabbrica, se non si vuole che i giovani sieno sacrificati; a ciò o in suo nome, o per interposta persona proda, religiosa ed onesta, ed osservate la cautela e le prescrizioni che nell’anno scorso si indicarono da codesta S. Penitenziaria. 

Il progetto di Bottoni era quello di ottenere la villa e l’annesso terreno: egli vedeva nell’acquisizione dell’intera possessione l’unica via mediante la quale si potesse salvare l’edificio, che altrimenti sarebbe stato destinato ad altri usi o abbattuto, senza così «privare gli alunni dell’onesto, salutifero e necessario sollievo di passare le vacanze autunnali in campagna»; inoltre, aggiungeva Vannicelli Casoni in una lettera del 1868 destinata al cardinale penitenziere Maggiore, la villa rappresentava un luogo sicuro per gli alunni, che già nel 1855 si erano salvati da un’epidemia di colera proprio perché si trovavano in villeggiatura, «ove poterono proseguire tranquillamente i loro studi, ed i loro esercizi con inestimabile contento di tutti». 

Le vibranti proteste di Bottoni non dovevano essere state sterili, dal momento che fu sospesa, nelle parole di Vannicelli Casoni, «l’esecuzione del fatale decreto suddetto», che prevedeva il passaggio del terreno e del fabbricato tra i beni del demanio dello Stato. 

L’unica modalità di acquisto del fabbricato era per interposta persona, vale a dire Vannicelli Casoni: le leggi vigenti non permettevano al Seminario di acquistare direttamente l’intera possessione. L’arcivescovo così, il 18 gennaio 1868, scriveva la già citata lettera al cardinale penitenziere Maggiore, in cui egli esponeva le riserve di Bottoni sull’acquisizione da parte del demanio della villa, nonché i conti del rettore stesso al fine di poter riacquistare la villa e le sue pertinenze. L’idea del demanio era formare due lotti del prezzo complessivo di 50.000 lire, cifra che si sarebbe innalzata a 60.000 lire nel caso di una gara di vendita «eccitata», quando la villa era costata 100.000 lire e il prezzo del terreno, con le due fabbriche coloniche che vi sorgevano, era calcolabile in 40.000 lire. Il compito di riacquisto prevedeva un pagamento immediato di 6.000 lire, 

mentre le restanti 54.000 lire sarebbero state corrisposte nei successivi diciotto anni, grazie al frutto percepito in rendita di consolidato nel frattempo dal Seminario, pari a 3.000 lire annue. L’auspicio dell’arcivescovo, per il bene della villa, era quello di salvare le proprietà, «tanto necessarie al Seminario», detestando «le leggi esecrabili dell’usurpatore Governo». Il progetto di Vannicelli Casoni e di Bottoni doveva avere avuto un esito positivo, poiché le spese e le tasse per la villa e il terreno annesso compaiono nel resoconto di cassa dell’anno 1870-1871, e dagli atti di spese risalenti all’11 agosto del 1875 sono documentati gli esborsi per restauri e miglioramenti alla fabbrica, che continuava, così, ad accogliere i giovani del Seminario per le vacanze estive e autunnali. 

La Prima Guerra Mondiale e il centro medico per le nevrosi di guerra 

Se l’apertura del nuovo secolo è più avara di documentazione, il motivo è da ricercare nella diversa, provvisoria, destinazione d’uso del fabbricato di Aguscello. 
La Prima Guerra Mondiale, infatti, al suo avvio vide l’arcivescovo Giulio Boschi (1838-1920) offrire la disponibilità della villa all’autorità militare, che la destinò a centro medico allestendovi un ospedale militare di riserva. L’immobile venne riconsegnato al Seminario nel 1919 non senza danni, specialmente alla cucina economica, ai loggiati e ai loro soffitti. 

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